
Affrontiamo oggi un tema centrale per chiunque gestisca un patrimonio con un orizzonte temporale di lungo periodo: i mercati azionari, e in particolare l’indice S&P 500, si trovano su nuovi massimi storici. Uno scenario che, a un’analisi superficiale, potrebbe suggerire un’euforia senza riserve, ma che a un occhio più esperto pone interrogativi strategici non banali.
La domanda che dobbiamo porci non è se festeggiare, ma come interpretare questa fase. Per un imprenditore o un professionista, abituato a pianificare e a gestire il rischio, è fondamentale distinguere il segnale di fondo dal rumore del momento. Esaminiamo i dati con lucidità.
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La temperatura emotiva del mercato: tra euforia e complacency
Uno degli indicatori più noti del sentiment, il “Fear & Greed Index”, segnala da tempo una forte componente di “avidità”. Storicamente, sappiamo che i momenti di panico generalizzato hanno spesso coinciso con punti di ingresso interessanti. Di contro, un’eccessiva euforia richiede un surplus di attenzione.
Questo clima di ottimismo è alimentato da una sorta di ridotta volatilità percepita. Eventi che in passato avrebbero generato scossoni significativi, oggi vengono assorbiti con apparente facilità. Si è creato uno scenario di “cielo sereno” che, sebbene piacevole, non deve portare a un eccesso di confidenza (complacency). Le valutazioni azionarie americane, espresse in dollari, sono tornate su livelli storicamente elevati e questo è un dato di fatto che non può essere ignorato in un’analisi di rischio seria.
La struttura del rialzo: un cambiamento strutturale positivo
Tuttavia, un’analisi più approfondita rivela un cambiamento strutturale incoraggiante. A differenza di fasi recenti, dove il mercato era trainato da un numero esiguo di titoli ad altissima capitalizzazione, oggi assistiamo a una leadership molto più ampia.
Il rialzo attuale è più “inclusivo”: una quota maggiore di aziende sta partecipando attivamente alla crescita. È la differenza che passa tra una struttura retta da poche, gigantesche colonne e un Partenone che poggia su una base più ampia e diversificata. Questa maggiore ampiezza è, innegabilmente, un fattore di solidità e resilienza per l’intero sistema.
In parallelo, osserviamo una rotazione geografica degna di nota. A fronte di un mercato USA ormai costoso, i capitali stanno fluendo con decisione verso aree con valutazioni più attraenti, in primis i mercati emergenti, che infatti sovraperformano nettamente da inizio anno. Questo non è un movimento casuale, ma una logica conseguenza di una gestione patrimoniale che cerca valore e diversificazione a livello globale.
La nuova dinamica delle crisi: il rischio dell’ottimismo indotto
Gli ultimi anni ci hanno abituato a un nuovo paradigma di crisi: crolli violenti ma recuperi altrettanto rapidi. L’esempio del 2020 è emblematico: un drawdown del 30% riassorbito in meno di sei mesi.
Questa dinamica ha generato un bias cognitivo estremamente pericoloso: l’aspettativa implicita che ogni futura correzione seguirà lo stesso copione. Questo ottimismo indotto è un rischio concreto, perché ci porta ad abbassare la guardia e a sottostimare la possibilità di ribassi più prolungati o di fasi di lateralità estenuanti.
La storia dei mercati è ciclica, ma non ripetitiva. Dare per scontato un recupero a “V” è un errore strategico che un investitore accorto non può permettersi.
Implicazioni strategiche: il mercato azionario non è un BTP
Quali sono, dunque, le conclusioni operative per un portafoglio ben gestito?
Il punto cruciale è evitare di trasformare la percezione del mercato azionario. Non è e non sarà mai un’alternativa a basso rischio a un titolo di stato. Il rendimento atteso è un premio per il rischio, non una rendita garantita. Se un’allocazione prudente ha generato performance anomale negli ultimi anni, è compito nostro riconoscerle come tali e ricalibrare le aspettative future a un livello sostenibile.
Questo non significa stravolgere la propria asset allocation strategica ad ogni soffio di vento. Significa, piuttosto, effettuare aggiustamenti tattici marginali: una leggera riduzione dell’esposizione azionaria, un incremento della liquidità o l’inserimento di strumenti decorrelati possono essere interventi di “limatura” sensati, volti a ottimizzare il profilo di rischio/rendimento del portafoglio senza tradirne la vocazione di lungo periodo.
Dall’analisi all’azione: costruire una strategia personalizzata
Comprendere queste dinamiche globali è il primo passo, fondamentale, per un investitore consapevole. Il secondo, decisivo, è tradurre questa comprensione in scelte coerenti con la propria, unica, situazione patrimoniale, professionale e familiare.
L’analisi di mercato fornisce le coordinate generali, ma la rotta deve essere tracciata su misura. Ogni portafoglio ha obiettivi specifici, un orizzonte temporale definito e una tolleranza al rischio che deve essere rispettata con disciplina. È in questo passaggio dal generale al particolare che si concretizza il valore di una consulenza strategica.
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